Una delle strategie di manipolazione delle masse è il “differire”. Per far accettare una soluzione “dolorosa” alla società, si preparano le persone dicendo loro che per star bene in futuro, occorre che tutti facciano sacrifici oggi. In questo modo si procrastina un fatto negativo sapendo che, comunque, si avvererà.
Ho il vago sentore che, quanto sopra, si addica allo scenario odierno in cui occorre tenere chiuse oggi le attività commerciali per evitare i contagi e in cui i soldi per ristorarle non ci sono o sono troppo pochi. Uno scenario in cui mi dicono di stare comunque tranquillo perché, a motivo della bravura dei miei governanti, questo sacrificio di oggi sarà compensato con il denaro che arriverà dall’Europa domani.
Allora mi chiedo quale sarà il fatto negativo di domani nascosto dietro questa manipolazione e rifletto sul fatto che non è detto che i soldi dell’Europa arriveranno e che, se arriveranno, saremo in grado di mettere mano alle riforme richieste quale condizione e/o avremo le competenze nonché la caratura etica e morale per spenderli per il bene della società.
Prima di continuare, premetto che questo articolo non parla di o commenta la politica, questo articolo parla di comunicazione (e di soldi). Non tratta di politica semplicemente perché la comunicazione/manipolazione di cui parliamo è comune a tutti i politici (tutti, nessuno escluso). Infatti, anche se i vari schieramenti presentano tesi contrapposte, i due temi su cui si stanno scannando sono farlocchi.
I due temi farlocchi sono i famosi 209 miliardi del Next Generation Eu (ex Recovery Fund) e l’ancor più famigerato MES (altri 36 miliardi).
Sul MES, i nostri politici si sono divisi fra chi lo vuole e chi non. Per quanto riguarda il Recovery Fund (lo chiameremo ancora così, perché così è entrato nel lessico quotidiano), stanno raccontando che i soldi sono certi e sicuri e, pertanto e in estrema sintesi, il conflitto politico apparentemente verte su chi li gestirà.
Il fatto è che non risponde a verità che i 209 miliardi del Recovery Fund sono certi e sicuri. Inoltre, i 36 del MES sono spiccioli che non varrebbe nemmeno la pena di prendere in considerazione.
Infatti: 209 + 36 miliardi fanno 245 miliardi.
Ora, l’asta dei BTP italiani di giugno 2020 ha registrato richieste oltre i 100 miliardi a fronte di un’offerta di 14 e quella di gennaio 2021 per oltre 105 miliardi a fronte di un’offerta di 10.
In altre parole, in due giorni, l’Italia –da sola- avrebbe potuto raccogliere 205 miliardi. Sarebbe sufficiente un’altra asta di BTP per superare gli importi del MES e del Recovery Fund messi insieme e smettere di discutere.
Pertanto, i nostri politici si stanno accapigliando e/o preoccupando per un falso problema, ma io spero che non sia un caso da rasoio di Hanlon[1]. Forse è un problema di ego, forse è una tecnica per sviare l’attenzione dal problema vero (il rischio di non riuscire a risollevare l’economia del Paese), forse è un problema di dipendenza affettiva nei confronti dell’Europa, forse era l’unica soluzione per evitare la sommossa popolare. Fatto sta, che stanno parlando del nulla.
C’è solo da sperare che l’attuale crisi di governo, in realtà, non dipenda dal fatto che si sono accorti che le (giuste) condizioni che pone l’Europa per elargirci i quattrini (riforme strutturali, gestione oculata dei denari e accettazione dei futuri controlli della UE), nel nostro Paese sono impossibili da realizzare e, quindi, prima di prendersi le torte in faccia o peggio, sia meglio defilarsi.
“Abbiamo conseguito questo risultato tutelando la dignità del nostro Paese e l’autonomia delle istituzioni comunitarie“. Sono parole del premier italiano in carica in conferenza stampa alle 5,31 del mattino di martedì 21 luglio 2020 al termine del Consiglio europeo. Il risultato sarebbero i 209 miliardi del Recovery Fund di cui 82 in sussidi e 127 di prestiti.
Quella affermazione è un pericoloso esercizio di manipolazione perché a un paese in recessione con lavoratori senza stipendio e cassa integrazione, con imprenditori senza fatturato o ristori si sta facendo credere che quei soldi sono certi e sicuri e che sono la soluzione di tutti i problemi. Pertanto, si è trattato semplicemente di una tecnica per creare la speranza a chi è senza lavoro, senza cassa integrazione, senza fatturato e senza ristori.
I passaggi per arrivare in fondo al Recovery Fund
Non si possono dare per certi i quattrini del Recovery Fund perché, ad oggi (e, quindi, figuriamoci ai tempi di quella roboante affermazione) mancano ancora tutti questi passaggi:
- parere delle Commissioni Politiche dell’Unione Europea
- discussione e voto in Camera e Senato
- presentazione alla Ue delle garanzie che alle riforme inserite nel Recovery Plan corrispondano misure concrete (ancora da risolvere il nodo della task force per l’attuazione e quello di procedure accelerate per tagliare i tempi degli investimenti)
- confronto con le parti sociali
- secondo passaggio in Consiglio dei Ministri per le integrazioni definite con il Parlamento e le parti sociali e l’approvazione definitiva
- presentazione alla UE (entro il 30 aprile 2021)
- approvazione (dei piani di tutti i Paesi) da parte della Commissione Europea entro i due mesi successivi
- benestare del Consiglio d’Europa nelle quattro settimane successive
- accordo del comitato economico e finanziario (i direttori del Tesoro) nelle quattro settimane successive.
Fatti quattro conti, se ne riparla a fine agosto 2021 se tutto va bene. Tra l’altro, la scadenza del 30 aprile, indicata nel regolamento ora all’esame del Parlamento e del Consiglio, non è tassativa tanto è vero che nell’ultima versione del regolamento, poco prima di Natale, è stata inserita l’espressione “as rule”, di regola. Cioè, non necessariamente.
A fine agosto arriveranno i quattrini?
Non è detto e, comunque, non subito perché l’Unione Europea questi soldi non li ha per cui deve chiederli in prestito. Pertanto, deve convincere gli investitori internazionali a prestarle 750 miliardi (a cui vanno aggiunti altri 1.100 miliardi per finanziare il bilancio Ue 2021-2027) offrendo in cambio obbligazioni.
Supponendo che tutto vada per il meglio ovvero che tutti i passaggi siano rispettati con successo e si siano trovati i quattrini, l’Europa concederà all’Italia un anticipo di circa 20 miliardi e il resto verrà erogato ad “avanzamento lavori” nel senso che le risorse richieste dagli stati per la realizzazione dei piani verranno materialmente pagate dalla Commissione sulla base dell’effettivo conseguimento degli obiettivi.
Presi i soldi, non si scherza: le riforme vanno fatte
Nel monitoraggio degli obiettivi, la Commissione Europea richiederà anche il parere del Comitato Economico e Finanziario (ECOFIN) e adotterà di volta in volta la decisione sull’approvazione dei pagamenti. Inoltre, qualora uno Stato Membro ritenesse ci siano deviazioni sul raggiungimento dei target da parte di un altro paese (e dunque un uso improprio delle risorse), potrà chiedere al Presidente del Consiglio Europeo di riferire al Consiglio stesso sul tema. Finché il Consiglio non si sarà espresso, la Commissione non potrà procedere con le erogazioni. Si tratta della cosiddetta clausola “Emergency brake”. Espressa la valutazione, può essere deciso di sospendere definitivamente o di continuare le erogazioni.
Traduzione: questa volta le riforme vanno fatte, non ci deve essere il solito “magna-magna”, non si devono buttare quattrini in monopattini e banchi a rotelle. Questa volta, i patti vanno rispettati e questo per chi, come noi, è abituato a gestire le risorse senza criterio, è un cambiamento culturale e morale che spaventa.
Il finanziamento del Recovery Fund
Tornando alle obbligazioni da piazzare, affinché esse risultino appetibili sul mercato, il bilancio Ue (e non quello dei singoli stati) viene usato a garanzia dell’emissione. Il problema è che, siccome il bilancio UE è piuttosto esiguo (pari a circa l’1% del Pil europeo) e non ritenuto ‘congruo’ rispetto a una emissione (e relativo pagamento) di titoli di questa portata, si prevede che per il periodo 2021-2027 a ripagare tali bond potrebbero concorrere:
- un innalzamento del massimale dei contributi dei Paesi membri dall’1,2% di PIL all’1,46% per gli impegni e all’1,40% per i pagamenti;
- l’imposta sul valore aggiunto;
- eventuali nuove tasse/imposte europee aggiuntive (ad es. carbon tax, platic tax e web tax);
- la riforma (ed estensione ad altri settori) dello European Trading Scheme (il meccanismo di allocazione, a pagamento, dei permessi di inquinamento per le grandi aziende).
Tutti i commentatori ritengono che non sarà difficile piazzare le obbligazioni perché, fino ad ora, le agenzie di rating hanno classificato il debito europeo “tripla A” che significa “livello minimo di rischio, debito di ottima qualità” (tranne Standard & Poor’s che lo classifica “doppia A”).
Certo non sarò io il menagramo e sono certo che i mercati risponderanno positivamente alla richiesta della UE. Tuttavia, non posso nemmeno esimermi da far sommessamente notare che:
- si tratta di una cifra enorme rispetto alle emissioni di debito precedenti,
- che gli investitori dovranno/dovrebbero:
- accettare una garanzia insufficiente (il bilancio UE),
- fidarsi del fatto che i Paesi membri pagheranno effettivamente i maggiori contributi e le maggiori imposte previste dal programma,
- fidarsi del fatto che i Paesi membri rimborseranno la loro quota di debito (l’obbligo di restituire le somme a prestito rimarrà regolarmente in capo agli Stati membri beneficiari delle stesse),
- scommettere (e vincere) che questa emissione di denaro permetta effettivamente la ripresa dell’economia dei singoli Paesi altrimenti sarà dura che paghino i maggiori contributi e le maggiori imposte nonché rimborsino il debito.
Smoke and Mirrors
Insomma, ci si sta accapigliando dietro un problema inesistente perché non è vero che i soldi del Recovery Fund sono certi e perchè, come abbiamo visto, l’Italia potrebbe farcela da sola. Sul motivo di tale manipolazione, io ho detto la mia. Ciascuno di noi si potrà fare la propria idea.
Sia chiaro: al sottoscritto piacerebbe che riuscissimo davvero a ottenere i fondi europei se non altro perché ci costringerebbero ad attuare le riforme che sono indispensabili per la rinascita del Paese e perché, finalmente, il debito pubblico sarebbe utilizzato come si deve.
È anche vero che, come detto più volte, ce la faremmo anche da soli visto come stanno andando le nostre emissioni di BTP, ma occorrerebbe un cambiamento culturale e morale oltre alle competenze al fine di utilizzare quei fondi per fare le riforme, aumentare il Prodotto Interno Lordo e i consumi (pertanto, il benessere della società) al punto di poter anche ripagare il debito seppur lentamente.
Ma la soluzione che preferirei sarebbe l’essere governato da una classe politica (e non mi interessa quale) consapevole del fatto che l’attuale politica monetaria, in base alla quale per ottenere i soldi necessari per il Paese non ci sono alternative al far debiti, non funziona, non ha dato i risultati sperati e non è sufficiente visto che i soldi non bastano mai per cui occorre tassare all’inverosimile le persone e le imprese. Questa politica monetaria, in una società in cui intere classi sociali sono state impoverite, le imprese svendute a stranieri e in cui le disuguaglianze sociali si inaspriscono sempre di più, prima o poi presenterà il conto perché non si possono far debiti all’infinito senza un corrispondente aumento della ricchezza.
Per cui occorre un cambio di paradigma, ammettere
che esistono alternative al debito, che forse si potrebbe iniziare a studiare
come emettere una moneta nazionale, magari complementare o digitale, ma
anche affidarci a persone con una certa caratura culturale e morale che non
passino il tempo a insegnarci come andare in monopattino e a correre sui banchi
a rotelle.
[1] Rasoio di Hanlon “mai attribuire a malafede quel che si può adeguatamente spiegare con la stupidità”. Robert J. Hanlon 2001 o W.C. Clarke 1974.